Oltre le epidemie (parte 1): verso il Rinascimento nel Quattrocento a Torino
La nascita di Lucento nel quadro del popolamento e dello sviluppo economico della campagna torinese.
Epidemie e ancora epidemie: da metà Trecento al 1420, con cadenza media decennale, la peste colpisce Torino. Come qui vedremo per il caso di Lucento, la loro fine dà avvio a trasformazioni che nell’arco di pochi decenni mutano radicalmente il sistema produttivo e il volto della campagna torinese, conferendole un aspetto che manterrà per secoli. Da metà Quattrocento nascono e si diffondono le cascine al centro di grandi appezzamenti di terre coltivate, gravitanti attorno a borghi che solo a inizio Novecento cominceranno a essere assorbiti nel tessuto cittadino torinese, e che oggi ne costituiscono le periferie.
Disabitata per gran parte del Medioevo, Lucento comincia a essere popolata a fine Trecento per iniziativa dei suoi feudatari, i Beccuti. Il progetto prevede la concessione di appezzamenti a famiglie che in cambio, fra le altre cose, devono vivere lì in pianta stabile, presso il ricetto del castello. A causa delle epidemie di peste questo progetto non riesce a essere pienamente percorribile e verrà ripreso con maggiore efficacia negli anni Trenta del Quattrocento. Se il risultato sarà quello dello sviluppo di un nuovo borgo, la colonizzazione della campagna lucentina seguirà tuttavia una traiettoria diversa rispetto al disegno originario dei Beccuti, a causa delle conseguenze sociali della peste che coinvolgono tutto il territorio torinese.
Ciò che innesca questa nuova traiettoria è il miglioramento delle condizioni dei piccoli proprietari terrieri residenti a Torino. Per costruire il loro reddito complessivo avvicendano la coltivazione dei propri appezzamenti, da cui traggono prodotti agricoli da consumare o vendere, con il lavoro sulle terre dei medio-grandi proprietari, retribuito con un salario. Con la morte dei congiunti a causa delle ondate epidemiche, i piccoli proprietari superstiti possono aumentare la terra a loro disposizione e così ricavare più reddito dal lavoro sui propri appezzamenti. Di conseguenza, possono dedicare meno tempo al lavoro delle terre dei medio-grandi proprietari o, in ogni caso, avere un maggiore potere contrattuale, richiedendo salari più alti o riducendo la produttività.
In risposta, i medio-grandi proprietari sviluppano una controstrategia che si dispiega su due fronti. Il primo è quello degli investimenti per aumentare la resa delle coltivazioni. Da una parte si accorpano i terreni, fino a quel momento sparsi e inframezzati da proprietà altrui, attraverso una fitta attività di compra-vendita, di modo da creare estese porzioni omogenee. Dall’altra si costruiscono opere irrigue che consentano una maggiore produzione di foraggio, così da poter impiegare i buoi nel lavoro, cosa che permette sia di diminuire i costi della manodopera sia di avere più concime e quindi una maggiore produzione di cereali.
Il secondo fronte è quello della forma del lavoro: per contrastare la bassa produttività dei lavoratori, si spinge per la sostituzione del lavoro salariato. Si generalizzano così i patti mezzadrili, che prevedono non un pagamento in denaro ma la spartizione dei prodotti agricoli fra i proprietari e chi lavora sui fondi, e quindi stimolano il contadino a essere il più produttivo possibile. In questo modo la campagna torinese, da metà Quattrocento, comincia a essere costellata di cascine al centro di estese terre coltivate, che fanno capo a nuclei abitativi sviluppati attorno a una chiesa.
Il nesso fra cascine e popolamento delle campagne lo vediamo ben chiaro nel caso lucentino: l’istituzione di una parrocchia a Lucento risale al 1462, due anni dopo la costruzione del primo canale irriguo locale (bealera Vecchia di Lucento) e due anni prima che venga allestito il secondo (bealera Nuova di Lucento). Quello di costruire una chiesa e di erigerla a parrocchia è un progetto che i Beccuti tentano di attuare da trent’anni, ma riesce solo nel momento in cui cominciano ad arrivare famiglie di mezzadri, stabilendosi nelle cascine, e aumentano gli abitanti del castello, che iniziano ora trasferirsi in case poste al suo esterno.
Approfondimenti
Per un’analisi delle dinamiche locali: M. Biasin, V. De Luca, W. Rodriquez, “Con il beneplacito di quelli di Collegno”: l’avvio dell’irrigazione del pianalto dell’Oltredora torinese, in “Quaderni del CDS”, II, 3, 2003, pp. 5-60.
Per uno sguardo d’insieme a livello cittadino: A. Barbero, Un’oligarchia urbana. Politica ed economia a Torino fra Tre e Quattrocento, Viella, Roma 1995.
Autori dell’articolo Giorgio Sacchi e Alberto Levi